da "Cose che nessuno sa" di Alessandro D'Avenia.
«Quando è stata l'ultima volta, ragazzi, che avete perso il sonno
pensando al viaggio della vita che vi attende? Quando?» Come invasato,
senza aspettare la risposta, fissando gli occhi assetati degli studenti
aggiunse: «Male! Dovete perdere il sonno sognando il vostro futuro. Il
sonno lo perdiamo perché la vita ci fa paura e ci emoziona allo stesso
tempo, la vogliamo aggredire e strapparle le sue promesse, ma ne abbiamo
paura. Abbiamo paura che ci abbatta, che le speranze restino deluse,
che tutto sia stato frutto dell'immaginazione. Dovete perdere il vostro
sonno pensando al futuro. Non ne abbiate paura. È segno che state
vivendo, che la vita sta entrando in voi.»Quando è stata l'ultima volta, ragazzi, che avete perso il sonno
pensando al viaggio della vita che vi attende? Quando?» Come invasato,
senza aspettare la risposta, fissando gli occhi assetati degli studenti
aggiunse: «Male! Dovete perdere il sonno sognando il vostro futuro. Il
sonno lo perdiamo perché la vita ci fa paura e ci emoziona allo stesso
tempo, la vogliamo aggredire e strapparle le sue promesse, ma ne abbiamo
paura. Abbiamo paura che ci abbatta, che le speranze restino deluse,
che tutto sia stato frutto dell'immaginazione. Dovete perdere il vostro
sonno pensando al futuro. Non ne abbiate paura. È segno che state
vivendo, che la vita sta entrando in voi.»
Il cuore non è altro che una fila di stanze, sempre più piccole, una
immette in un'altra attraverso una porta chiusa e scale che scendono.
Sono in tutto sette stanze. Il cuore del cuore è la settima, la più
difficile da raggiungere, ma la più luminosa perché le pareti sono di
cristallo. Gioia e dolore vengono da quella stanza e sono le chiavi per
entrarci. Gioia e dolore piangono le stesse lacrime, sono la madreperla
della vita, e quel che conta nella vita è mantenere intatto quel
pezzetto di cuore, così difficile da raggiungere, così difficile da
ascoltare, così difficile da donare, perché lì è tutto vero.
Come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente:
l'altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno di qualcuno che ci
regali quella parte di noi stessi che ci manca? Sono cose che nessuno
sa.
Se parti dalla consapevolezza che la meta è un capolinea, tutto il resto
diventa spietatamente chiaro. Non vale la pena affannarsi, la natura va
avanti benissimo senza di te, di te se ne fotte. Con la ferrea legge
del più forte e quella cinica dell'autoconservazione, inesorabili, il
destino di tutto e tutti si compie. L'unica libertà concessa è resistere
con dignità fino al capolinea, giocando come il gatto con il topo,
consapevoli però di essere il topo, non il gatto e di non avere scampo. Cercare di divertirsi almeno. E poi scendere, soddisfatti. Almeno un
poco. Capolinea.
Nessun commento:
Posta un commento